Intervento di Stefania De Stefano
Ho conosciuto personalmente il Prof. Sce nel 1981/82, anno in cui egli iniziò a tenere il corso di Geometria a Fisica, con Stefano Kasangian e me come collaboratori alla didattica.
La sua figura austera (e la mia completa ignoranza della sua storia personale!) mi aveva fatto temere che avremmo avuto a che fare con un cattedratico che avrebbe dettato le regole della nostra collaborazione, dandoci compiti precisi e nessuna libertà nell’insegnamento. Fu vero esattamente il contrario: il Prof. Sce ci trattava da collaboratori adulti, liberi – una volta concordata la ripartizione del programma – di scegliere le vie da seguire.
Da subito ci coinvolse nella stesura degli appunti per gli studenti, che negli anni sarebbero diventati il manuale Lezioni di geometria e algebra lineare, accettando con molto garbo le nostre osservazioni e richieste di variazione, qualche volta tutt’altro che marginali.
Ritengo che questo atteggiamento aperto, che ci faceva credito di una conoscenza e di un’abilità matematica, almeno nel mio caso, superiori al reale, abbia favorito la nostra crescita didattica e scientifica.
La stessa fiducia nell’intelligenza dei suoi interlocutori il Prof. Sce la mostrava nei confronti dei suoi studenti: anche alle matricole cercava di proporre “piatti sostanziosi”, non il solito omogeneizzato insapore che si tende a somministrare a chi affronta un argomento per la prima volta. Era convinto che meno si chiede e meno lo studente si impegna nello studio e riesce a spremere dall’esperienza della preparazione dell’esame. Quindi inseriva appena possibile qualche spunto che per uno studente di Fisica avrebbe potuto prima o poi essere utile, dai quaternioni al prodotto di convoluzione, portando anche a questo livello base dell’insegnamento tracce delle sue ricerche più o meno recenti.
D’altra parte era ben consapevole che, vuoi per il suo stile di insegnamento, vuoi per il loro scarso acume o impegno scolastico, alcuni studenti potevano avere difficoltà: nei loro confronti, anche in sede d’esame, aveva sempre una grande disponibilità; una delle sue frasi ricorrenti, quando si trattava di decidere la sorte di qualche sciagurato che aveva balbettato solo poche risposte ben condite da errori, era: “in dubio pro reo”. Inutile dire quante volte mi è risuonata all’orecchio questa frase nella mia successiva esperienza di insegnamento!
E gli studenti? Che lo amassero o meno, credo che tutti avessero la percezione di essere davanti a una personalità fuori dal comune e alcuni di loro ne erano affascinati.
Peraltro, nel corso degli anni, il Prof. Sce cambiò frequentemente l’impostazione almeno di alcuni argomenti del corso di Geometria a Fisica, alla ricerca forse di un’idea unificante o di un modo “alto” di presentarli: la stesura del volume 1 del manuale divenne una specie di tela di Penelope, che ogni anno subiva consistenti rifacimenti, gli ultimi dei quali purtroppo non videro mai la fase di stampa.
Dal 1988/89 (e per tre anni) non tenni più le esercitazioni ma uno degli sdoppiamenti del corso di Geometria a Fisica; quindi ebbi modo di continuare a collaborare con il Prof. Sce. In particolare datano intorno a quegli anni le prime esperienze di laboratori di algebra lineare assistiti da sofware matematico (il cui allestimento fu curato dalla Prof.ssa Maria Piera Manara), che il Prof. Sce, coerentemente con il suo interesse per il calcolo automatico e le sue possibili applicazioni didattiche, supportò con forza.
In questo decennale rapporto di collaborazione ci fu spazio per conversazioni, non solo su temi di lavoro, animate dal suo spirito arguto e spesso pervase dalla sua sottile ironia; nonostante il suo naturale riserbo (ci demmo sempre del Lei, perché asseriva che fosse una forma di rispetto per la persona cui si rivolgeva e che non escludesse la confidenza) ci fu modo di parlare persino della vita quotidiana, della sua famiglia – in una parola – dei suoi affetti. E anche di questa amicizia discreta non posso che ringraziarlo!